RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
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giovedì 2 febbraio 2017

MARANGHI @ TREVISO di Antonio Leo

Come sempre quando l'amico Antonio Leo pubblica una sua riflessione sull'arte mi piace ospitarlo in questa stanza. In questa occasione ancora di più!



MARANGHI @ TREVISO di Antonio Leo

Katia mi dice che l’etichetta di questa bottiglia gli ricorda Maranghi, il suo tratto. E le cose non succedono mai a caso.
Siamo alla Vecia Hostaria dai Naneti. Siamo a Treviso, e ci si sta bene. Un panino con la soppressa e un prosecco. Una città incantevole. Si vive bene, si mangia benissimo, la gente è bella e sorride, è sabato sera. Appena usciti da Cà dei Carraresi che ospita due grandi mostre: Francis Bacon e Giovanni Maranghi.
A casa mi tengo stretto un piccolo ma prezioso dono di Giovanni, un tratto veloce, preciso, leggero, una dedica in occasione di una delle tante serate al CRA. In pochi secondi, sotto i miei occhi ammiranti, dietro un foglio bianco ripiegato -probabilmente il programma/locandina di qualche evento passato, tirato fuori dal caos delle nostre librerie- Giovanni disegnò il volto di una ragazza, attraversò la luce, dette vita e dette anima ad un profilo che subito diventò bello, intimo. Lo incorniciai, ed era come averlo sempre avuto. Mi riportava alla ragazza del 1974.
Lei era sulla vecchia etichetta di un vino che non so perché avevo da sempre, da prima di nascere. La storia racconta che era il 1967 e Tono Zancanaro, un artista del Triveneto “estraneo ai giochi dei clan, gruppi, estetiche, giri di mercato” come amava definirsi, disegnò su richiesta del Conte Piero Loredan l’etichetta per un suo vino, un Venegazzù del Montello, un poco valorizzato rosso, quasi eroico, tanto circondato in un territorio di prosecco. Una storia straordinaria. Una etichetta che voleva essere un omaggio ai complimenti ricevuti dal Presidente francese Charles De Gaulle e Signora, in visita alla Biennale di Venezia, che ad una cena avevano tanto apprezzato quel vino, chiedendo chi ne fosse il produttore. Nacquero così due etichette. Entrambe nere, tratto bianco, semplice, fine: una figura di uomo con la scritta “des roses pour madame” per la Signora Yvonne ed una figura di donna con la scritta “..et pour Monsieur la Bombe” dedicata a De Gaulle. Ecco la “Riserva Capo di Stato”. Zancanaro aveva espresso la sua arte come nelle opere a china e come nel mosaico a tecnica ravennate, il Kuman Siblia del 1970.
Ma questo è solo la cornice. Maranghi a me ha regalato (solo?) un’emozione, a Treviso un intero percorso di arte. Estetica. Bellezza. Volti sicuri di donne, ancora, e come sempre, impreziosite sia dalla loro naturale freschezza ed eleganza che da orpelli, visioni e ricami, in tecniche miste su carta e tecniche inusuali, che si concentrano tutte sullo sguardo: fiero e sicuro quello di Ischtar, lascivo e sorridente quello di una Estate romana, fino al quasi distaccato da tutto, come a volersi distinguere in un allontanamento da possibili contatti, per Tour d’Italy. E poi le resine su tavola, dove al tratto e alla sfumatura si aggiungono colori che mettono in sintonia il visitatore con lo spazio circostante ed il viaggio, la scoperta. L’emblematica posizione delle mani vicino agli occhi, mento appoggiato sui palmi, in una gentile attesa di Dietro ai miei occhi, quasi a dare il benvenuto, ad accogliere in un mondo che probabilmente non ci si aspetta, rassicurante, un ponte che vuole comunicare un chiaro io sono qui per te e tu qui per me, e lo sai. L’abbracciare ed il proteggere di un Ed ho in mente te. La resina morbida di una Chiné interrogativa, attenta. Un farti prigioniero di un monocromatismo che si spinge fuori da idee-tratti-storie finemente raccontate sotto, quasi a segreto, quasi un custodire. Il tratto si fa più duro, il rosso su bianco spicca dal bordo nero di Una storia inventata, dove la bellezza femminile ne è anche consapevolezza, autorevolezza, ne contraddistingue forza, personalità, fierezza. Fino ad arrivare alle guardie della sala, sagoma, metallo e plexiglass: Rue Jacob, Malá strana e Park 798 tre opere fronte/retro come colonne-torri a difesa dell’intera esposizione. Le mie opere preferite. Opere che cercano i tuoi occhi, ti accompagnano seguendo ogni tuo sguardo, per poi aspettarti mentre ti giri di nuovo alla loro ricerca, distaccandoti un attimo dalle altre per cercarle ancora. Un contatto innegabile, impossibilità di avere una azione libera da ora in poi, stregato, geloso. Il susseguirsi di discorsi che si fa sempre più distante, diviene brusio, e torna silenzio, concentrazione ormai persa, ormai nel quadrato rosso che spicca ora sul bianco ora sul verde, una richiesta di giudizio, una ammissione di colpa. Tanto ne è la semplicità, armonia, quiete del fronte quanto caos del retro -un caos ordinato- di domande senza risposta, a tratti inquietudine, in caratteri metropolitani, ricordi sfumati, cancellati, scritte, spray, collages, piegature, rammendi, cuori e vita. Con Neo exxxcess il ciclo si chiude, icona e sintesi, presenza, madre e musa di una magia concreta, tangibile, sentimentale, chiamata ARTE.
Superbo il catalogo, degno di Treviso, di questo ambiente, di tali opere pittoriche. Impareggiabile e inavvicinabile il testo critico di Ivan Quaroni, prezioso il contributo critico di Antonio Natali.
Il Rumore di Fondo ti avvolge in una sera che si fa fredda, fra luci di ristoranti, nebbia, locali, musica e sorrisi. Tutto da vivere. 
 
 

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