RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
UNA SOCIETA' DISTRATTA SUI FATTI DELL'ARTE E' UNA SOCIETA' VOTATA ALL'IMPOVERIMENTO... E NOI, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, LO SIAMO GIA' ABBASTANZA!






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venerdì 13 dicembre 2013

"Rubo" da Frattura Scomposta...



"Rubo" dalla bacheca FB di Frattura Scomposta (https://www.facebook.com/fratturaarteemregente?fref=ts; sito: http://www.fratturascomposta.it/), questa efficace riflessione, che condivido pienamente e mi permetto di riportare anche su queste pagine....

Ex Ministro Giulio Tremonti


Questo è il genio della lampada...

L'EX ministro Tremonti ha detto che la cultura non dà da mangiare. Non è chiaro se le esatte parole che ha pronunciato siano «Con la cultura non si mangia», «La gente non mangia cultura» o «La cultura non dà da mangiare». In ogni caso, il senso è lo stesso: la cultura, nella visione del ministro, non produce benefici materiali, ma rappresenta un costo.

L'industria (attenzione industria!!) culturale italiana produce un fatturato di 75 miliardi l'anno con un milione e mezzo di posti di lavoro e rappresenta attualmente il 5,4% del Pil. Non solo: con le sue 178mila aziende l'Italia della creatività è seconda solo alla Germania e se nei comparti tradizionali durante questo periodo di crisi, le persone occupate sono calate del 9%, il mondo della creatività italiana ha perso SOLO lo 0,5%.

Non diamo più da mangiare a questa accozzaglia di persone spregevoli e che con la cultura, appunto, non hanno nulla da spartire, menti vuote senza neppure quell'unico neurone. Fuga di cervelli? Beh di questi personaggi facciamo fuggire anche i loro corpi...

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... e guarda, guarda cosa hanno trovato, sempre gli amici di Frattura, su Dagospia (http://www.dagospia.com/)...



Da DAGOSPIA - da prendere con le molle ma interessante ricerca...

Chi l'ha detto che la "cultura non si mangia"? Mai frase fu più infelice fra le tante trovate di Giulio Tremonti! Basta vedere l'elenco dei «giacimenti culturali» di cui dispone lo Stato per capire perché intorno al MiBac sia in corso la più feroce delle guerre civili del sottogoverno della apolitica italiana.

Soldi per la cultura ce ne sono sempre meno. Per spenderli però, ecco il paradosso, la burocrazia dello Stato si spoglia delle sue prerogative per affidarne la gestione a società costruite con lo scopo di rendere più efficace l'azione di conservazione e tutela, che invece si rivelano presto un sistema perfetto di distribuzione della pubblica ricchezza. Si tratta di movimenti finanziari che si misurano in milioni e milioni di euro che finiscono per alimentare il sottogoverno delle supercaste della politica.

Le cronache di ieri hanno acceso all'improvviso i riflettori sulla società che sembrava un modello di uso virtuoso delle risorse investite dallo Stato per la salvaguardia del patrimonio italiano: Arcus. Sembrava tutto a posto. Era stata una grande idea, quando fu istituita sotto il ministro Urbani. E in effetti prima che il sottogoverno berlusconiano non ne snaturasse gli interventi aveva sempre goduto di «buona stampa».

Ma allora perché il sottosegretario del Ministero per lo sviluppo, Mario Ciaccia, longa manus operativa del ministro Corrado Passera, competente per le società controllate dallo Stato, vuole chiudere Arcus per far ritornare al Ministero i circa duecento milioni che amministra? Il mistero diventa ancora più stuzzicante se, facendo mente locale, si ricorda che l'inventore e primo dominus di Arcus era stato proprio Ciaccia, quando stava ai Beni culturali come capo di gabinetto di Urbani.

Per le cronache di domani siamo in grado di anticipare in esclusiva i punti di crisi imminenti. Perché al Mibac non c'era solo Arcus. Un'altra società inventata ad hoc per gestire fondi al posto dell'amministrazione ha fatto la parte del leone. Si chiama Ales, acronimo di «Arte lavoro e servizi». È stata costituita nel 1998, fondata su un incrocio fra il MiBac e Italia Lavoro Spa, partecipata interamente dal Ministero.

La sua missione doveva essere quella di assorbire i 1800 lavoratori socialmente utili da anni assegnati ai Beni culturali. Nel corso del tempo, fra fallimenti e ristrutturazioni, l'Ales è diventata una società tuttofare, usata principalmente per operare nei beni culturali senza dover subire i controlli a cui deve essere soggetta l'amministrazione pubblica, per esempio dalla corte dei conti.

Dalla gestione delle biglietterie alle librerie, dai ristoranti e bar alle visite guidate, dalla conservazione del patrimonio al suo sfruttamento commerciale. Naturalmente non deve essersi trattato di una gestione virtuosa se è vero che i deficit viaggiavano già da qualche anno fa fra il milione e il mezzo milione di euro. Dietro Ales ci sarebbe l'azione del direttore generale che fu insediato direttamente da Berlusconi, il famoso Mario Resca, già manager della McDonald, imposto per far diventare un affare i beni culturali.

Un affare per chi? Perché per esempio tutti i privati interessati e in concorrenza per vincere gli appalti del ministero per gestire musei e aree archeologiche con l'idea di guadagnare facendo anche guadagnare lo Stato, sanno bene che vincere una gara contro l'Ales sarà impossibile finchè Resca se ne occuperà dalla poltrona di direttore generale per la valorizzazione del patrimonio.

Perché Resca è anche presidente di Confimprese (la Confindustria dei negozi e della ristorazione) oltre che consigliere di amministrazione della Mondadori, alla faccia del conflitto di interessi, perché controlla l'Electa, una volta editore di cataloghi e libri d'arte di qualità, che ora gestisce in esclusiva una delle galline dalle uova d'oro, cioè tutta l'economia di servizi che ruota intorno al Colosseo e di Pompei.

Allontanato da palazzo Chigi il suo mentore, riuscirà Resca a rimanere in carica visto che il suo contratto scade nel prossimo mese di luglio? La lista dei pretendenti è per ora uno dei segreti meglio conservati al MiBac, Ma già si sa che i nomi sono tutti di primo rango.
Il modello con cui vengono pensate e inventate queste società sembra sia stato nientemeno che inventato da Lenin nel 1917, Il Sovnarkom, quando con il Consiglio dei commissari del popolo pensava di aver trovato il modo di scansare gli obblighi imposti dal parlamentarismo borghese.

C'è poi un altro modello che sebbene diverso nelle forme e per status giuridico è finalizzato allo stesso scopo: è il caso di Civita. Era nata nel 1987 da un'idea di Gianfranco Imperatori e si era distinta per il recupero di Civita di Bagnoreggio (da cui il nome). Da allora l'idea di un'etica dell'economia per la cultura ha avuto nuovi e vari sviluppi e applicazioni.

Per capire di cosa stiamo parlando, basta vedere l'assetto della sua governance: presidente Onorario l'On. Gianni Letta, presidente l'on. Antonio Maccanico, vice presidente Bernabò Bocca, segretario generale Albino Ruberti, direttore Giovanna Castelli. Nuovo presidente di Civita Servizi è Luigi Abete.

La sede di Civita è in uno dei posti più spettacolari di Roma, sull'angolo che da sui fori del palazzo delle Assicurazioni generali, dirimpetto a Palazzo Venezia, proprio difronte alla Colonna Traiana. Da una costola di Civita (insieme a Costa e Acea) qualche anno fa, nel 1998, nasce Zètema, partecipata al cento per cento dal Comune di Roma. Nel 2000 Zètema si aggiudica la gestione dei servizi ai Musei Capitolini: «La più importante esperienza di global service nei musei italiani» si legge sul sito di Civita, dove grandissima è l'attenzione per la funzione etica di saper coniugare gli interessi generali della cultura con una sana imprenditoria.

Se si insegue il filo dei poteri si scopre una rete di intrecci capace di stabilire una forte influenza sul sistema di sfruttamento dei beni culturali a Roma. Perché non solo c'è Zétema, ma c'è anche Civita servizi e poi c'è Gebart, partecipata dal 2008, presente in alcuni prestigiosi musei come la Galleria Borghese di Roma e la Galleria Nazionale di Urbino. A governare Civita c'è Albino Ruberti figlio del ministro socialista, ai tempi di Bettino Craxi, alla cultura.

Poi c'è «azienda speciale Palaexpo», società strumentale di Roma Capitale con al vertice Emanuele Emanuele. Si capisce tutto leggendo l'innumerevole elenco di cariche registrato nella sua biografia sul sito della Fondazione Roma, lascito delle operazioni incrociate che portarono alla dissoluzione della Banca di Roma nell'Unicredit di Alessandro Profumo, scaturigine prima del potere finanziario su cui Emanuele fonda la sua signoria culturale.

Avvocato cassazionista Emanuele è anche «banchiere esperto in materia finanziaria» vanta un po' di lauree honoris causa, fra cui spicca quella in Diritto Canonico alla Pontificia università lateranense. Ha insegnato naturalmente alla Luiss, è presidente della Fondazione Roma-Mediterraneo a suo tempo inventata da Marrazzo... E poi «già ambasciatore presso l'Unesco per conto del Sovrano militare ordine di Malta»...

Poi c'è la Biennale arte di Venezia che lo ha fatto entrare in conflitto con il presidente Paolo Baratta, non manca il Festival di Spoleto e nemmeno l'opera di Roma. Partecipa anche alla gestione di Civita, resposnsabile Affari internazionali del Comitato di presidenza... La lista di incarichi è ancora lunga, quasi il doppio, quella dei premi e dei riconoscimenti anche!

La Fondazione Roma, una montagna di denaro che viene fatto fruttare con redditizi incroci finanziari, che interviene nella sanità e nella ricerca scientifica è particolarmente attiva nel campo dell'arte e delle mostre con il Museo di Roma, da ultimo ha sponsorizzato con 4 milioni di euro proprio Palaexpo che gestisce le Scuderie del Quirinale, il Palazzo delle Esposizioni, e la Casa del Jazz. Il presidente va da se, è sempre lo stesso.

All'altezza della signoria culturale di Emanuele a Roma c'è solo Alessandro Nicosia che, forte di intrecci politici e famigliari, da sempre gestisce le attività del Vittoriano, il ventre segreto dell'Altare della Patria a piazza Venezia, con la società «Comunicare organizzando» di cui poco si riesce a sapere, avvolta in un segreto di incarichi e commissioni tenuto rigorosamente fuori da ogni ventata mediatica.

Il quadro fin qui tracciato è appena uno schizzo, ben lontano ancora dalla mappa di intrecci che ha portato il ministero della cultura sotto il dominio del ministero di Passera che vuole vedere bene come vengono gestite le sue attività e incroci di società che in nome dell'etica della cultura accumulano potere e affari. Mentre Pompei crolla e il Colosseo viene regalato allo Scarparo delle Tods...

Ed ecco allora Corrado Passera in prima fila a dispensare il suo verbo per la rinascita del paese, anche nella cultura, in un convegno organizzato alla Confindustria dalla Confcultura, l'associazione degli imprenditori privati che vedono come fumo agli occhi tanto Arcus quanto Ales...

Che si tratti di una guerra senza quartiere che non prevede prigionieri lo si è capito dall'articolo uscito su ‘'Repubblica'' dell'8 marzo con la firma di Francesco Merlo. Con una prosa avvolgente, talvolta sottile come una punta avvelenata, talaltra pesante come una durlindana ha messo in croce il malcapitato Lorenzo Ornaghi, ministro senza auctoritas che perciò ha perduto ogni dignitas.

Per rappresentarlo Merlo ha trovato una felice citazione sugli ignavi nientemeno che nell'Inferno di Dante. Merlo poi ha continuato ieri con un pezzo di grande maestria sul Colosseo trasformato in una sorta di sukh turistico culturale per il conflitto fra Mibac e Comune di Roma.

Colpisce il fatto che Repubblica abbia fatto ricorso a uno dei suoi più brillanti editorialisti, invece di usare i suoi giornalisti specializzati nei beni culturali. Embedded? Al seguito? Cosa che è successa anche sul Corriere di oggi che vede in campo Pierluigi Battista versus Petruzzelli e Festival del Cinema. C'è da credere che siamo all'inizio di una partita che non si giocherà con lo stile degli scacchi. Per Ornaghi, indeciso a tutto, si annunciano giorni di grande agitazione. Il seguito infatti è imminente.


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