RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
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venerdì 23 novembre 2012

ALESSANDRO BERGONZONI | TUTTO TORNA COME DOPO a cura di Martina Cavallarin

Tutti a Milano da Fabbri per Bergonzoni!

  
ALESSANDRO BERGONZONI | TUTTO TORNA COME DOPO

a cura di Martina Cavallarin

Fabbri contemporary art
Via Stoppani 15/C, 20129 Milano


Da mercoledì 12 dicembre 2012 Fabbri Contemporary Art espone opere inedite e installazioni project specific di Alessandro Bergonzoni.


Inaugurazione: mercoledì 12 dicembre dalle 18.30


“Dove sta scritto che tutto deve tornare come prima?

E il prima è sempre un quando, o può e deve diventare un cosa?
Pezzi: di prima, (da prima), divisioni solo cronologiche, interamente tratte, e già l’intero sapeva d’esser fatto, a pezzi, quando lo si costruiva.....
E allora ecco l’esempio degli arancioni, delle loro lamiere e dei loro cementi, il muro contro muro (arco di tempo circolare), grondaie da leggere, scrittura piovana (il pensiero per l’imbuto), la parte scheletrica del volo pindarico che due finestre bloccano, tra se e se, piccioni compresi.
Quel dopo del sismico che continua a muovere, già prima del previsto.
Si sa che i lassi staccano delle parti, e il tutt’uno è già qualcos’altro, anche appena unito.
E se l’intatto fosse un senso che non abbiamo mai avuto?”
(Alessandro Bergonzoni)

Milano, 14 novembre 2012 - Tutto torna come dopo è la prima esposizione personale milanese di Alessandro Bergonzoni, artista visionario, resiliente, bulimico, possente e delicato, poverista e postproduttivo nel recupero di ciò in cui inciampa “con la coda dell’occhio” e che riabilita attraverso altre modalità duttili e possibili. In Tutto torna come dopo le opere - che abitano tangenti i luoghi della residualità, lo spazio delle cose e le architetture della galleria Fabbri Contemporary Art- raccontano di vite emigrate altrove.


Nel processo di Bergonzoni la ricerca si rafforza nella resilienza, una plasticità che non intende farti tornare come e dove eri prima, ma avanzare nel dopo, cerchio maestro di una crescita oltre a ciò che avresti previsto. Comunque. L’Opera contiene sempre in sé, nella potenza che esprime proprio perché Oggetto Arte, un’attesa escatologica connaturata nella sua stessa alterità liminale che si spalanca nuda e forte alla possibilità di risorgere e rifiorire, e germogliare e germinare nuove direzioni del senso. E lo fa disseminando un ordine di mutamento nello stesso ordine con il quale lo speleologo, il negoziatore Bergonzoni gestisce filari di tassidermie bloccate nella calce, organismi simmetricamente composti in teche a temperatura calda della “vetrinizzazione dell’arte”. Parallelismo da funambolo perché il passaggio da materiale a materiale, da vita a cristallizzazione della vita ci restituisce una replica poetica del reale. Se i piccioni tra i molteplici livelli di grigio ci osservano più di quanto non c’è dato comprendere, perché tornati come dopo, la scrittura di lettere battute a tastiera ci spiano dai loro anfratti di lamiera dandoci sempre, con eleganza gentile, la percezione di arrivare prima noi alla loro ispezione. Anche i frammenti di muro strabici e dissimmetrici sono contrazioni jazzistiche incollate a un altro muro,


come una stratificazione coatta di poetica di mescolamento che Alessandro Bergonzoni ci segnala di continuo e con insistenza per evidenziare spazi e luoghi che abbiamo già abitato, quei muri squarciati di case mai davvero possedute.

Le conseguenze dell’impatto con il suo lavoro lasciano tracce da interpretare, macchie e lettere e buchi di ferro corroso consistenti come aloni sottili che contaminano il bilico della soglia per guadagnare più distanze con il solo gesto atletico di un muscolo che si torce.
Quella dell’artista bolognese è una pratica contemporanea che viene da lontano, da un uso consueto di raccogliere e ammucchiare, dalla polvere, dai macchinari industriali e dalle macchinazioni mentali. L’artista tocca la materia e la rende altro da sé, la de-contestualizza e la ingloba con soggetti diversi sviluppando un’opera autonoma, straordinariamente altra, contrastante il suo passato e sbilanciata nel presente. Tramite queste fusioni Bergonzoni sottrae cose divenute già archeologie di se stesse all’ulteriore fluire dei tempi e alla loro funzionalità, in un processo conservativo che li eleva al grado di opera d’arte che è di per sé parossismo dell’apparenza rispetto al valore originario.

In questa mostra da annusare e accarezzare Alessandro Bergonzoni genera un cortocircuito dolce, ancora un Tutto torna come dopo colmo di una leggerezza che è in verità simulazione, eccesso di più verità e per questo colta solo dalla mano agile e sapiente dell’arte, ma donata come un fiore reciso che, come ogni essere vivente, ambisce a tornare come dopo.


Martina Cavallarin

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