RITENGO CHE SIA DOVERE DI CHIUNQUE E A MAGGIOR RAGIONE DI NOI ITALIANI, FARE DI TUTTO PER PROMUOVERE, SALVAGUARDARE E DIVULGARE L'ARTE IN TUTTE LE SUE ESPRESSIONI.
UNA SOCIETA' DISTRATTA SUI FATTI DELL'ARTE E' UNA SOCIETA' VOTATA ALL'IMPOVERIMENTO... E NOI, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, LO SIAMO GIA' ABBASTANZA!






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sabato 13 agosto 2011

Chi muove l'arte: Carta d'identità di... Carolina Lio


Carolina Lio


DOMANDE

  • Generalità (nome, cognome, età, professione ect.)
  • Collaborazioni (principali collaborazioni, mostre ect.)
  • Il tuo miglior pregio
  • Il tuo peggior difetto
  • Qual è il collega che stimi di più?
  • E quello che ritieni meno interessante?
  • Fammi tre nomi di artisti che ritieni in questo momento fra i più interessati
  • La galleria, il museo o l’istituzione al top della tua classifica personale?
  • Ed il fanalino di coda?
  • Moderno o contemporaneo?
  • Il ruolo del web nel mondo dell’arte
  • Progetti importanti per il futuro
  • Sogno nel cassetto
  • Ricetta salva/crisi
  • Una tua confessione (quello che nessuno sa di te)
RISPOSTE




Carolina Lio, 27 anni, sono un curatore d'arte contemporanea nel lavoro e nella vita. Vivo a Milano, dove cerco sempre di tornare dopo i frequenti spostamenti di lavoro. 

Ho iniziato a curare mostre dal 2004, a vent'anni. Già da quando ne avevo sedici seguivo artisti, scrivevo testi critici, e lavoravo nell'organizzazione di vari eventi, come la performance di Shozo Shimamoto durante la sua personale a Cà Pesaro di Venezia. Credo che la mia chiave di volta sia stata proprio quell'esperienza e la collaborazione con Exibart, prima, e con Flash Art, poco dopo. Dal 2004 ho curato più di un centinaio di mostre e quelle che ricordo come più formative per il mio percorso curatoriale sono state "Suspense" presso la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia e una serie di mostre personali al Castello di Rivara, in provincia di Torino. Ho lavorato con musei e gallerie in Italia e fuori. Tra le sedi che mi hanno dato di più e che mi hanno fatto maturare professionalmente voglio citare il Lu.C.C.A Lucca Center of Contemporary Art, l'ACCEA Armenian Centre for Contemporary Experimental Art di Yerevan (Armenia), lo 00130 Project Space di Helsinki (Finlandia) e ArsPrima a Milano. In queste settimane sto lavorando assiduamente per il nuovo Premio ORA di cui sono presidente di giuria e preparo la mostra "Vulpes pilum mutare" che si terrà a settembre presso il Museo Civico di Bassano del Grappa. La mostra è inserita all'interno del Festival Infart, uno dei più importanti e visitati festival europei di cultura underground e nel mio progetto ho l'orgoglio di lavorare con artisti come Matteo Basilè, Franko B, Francesco Carone, Paolo Grassino, Andrea Mastrovito, Maurizio Savini e molti altri.

Non ho altro oltre il mio lavoro. E questo mi permette di seguire con tutta me stessa tutti i miei progetti, di essere sempre presente per i miei artisti e per le sedi che mi affidano il loro spazio, il loro nome e la loro credibilità.
Non ho altro oltre il mio lavoro. E questo a volte mi vieta di vivere pienamente e serenamente altri fasi della vita. Ma avvertivo il problema soprattutto quando ero più giovane.

I migliori curatori italiani sono Francesco Bonami e Massimiliano Gioni. Con una netta preferenza verso il primo, che crea progetti articolati in cui la ricerca curatoriale riesce a interagire col pubblico. Mi riferisco soprattutto ai progetti che ha curato a Villa Manin di Codroipo, alla mostra "Italics" a Palazzo Grassi di Venezia, a "Bidibidobidiboo" alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino e a tanti altri esempi che comunque i lettori conoscono già. Senza scordare i suoi libri, molto ironici, molto semplici e molto giusti. Ovviamente, per il momento io mi posso considerare sua "collega" solo con una grande nota di ottimismo, mentre tra i nomi più vicini al mio lavoro sul campo apprezzo molto Lorenzo Bruni.

Più che un singolo nome sento di dover criticare tutta una fascia di persone che si presentano come curatori pur non essendolo. Alludo a chi vorrebbe vivere nel mondo dell'arte senza avere una professionalità adeguata e che, per far resistere a galla il proprio nome a qualunque costo, si muove tra collaborazioni gratuite, curatele sporadiche e fin troppo alternative, presenzialismi ai vernissage e consigli nocivi agli artisti da cui pretendono di sentirsi adorati. Credono che il lavoro sia questo. Ma il lavoro è tutto il resto.

Sono tantissimi. Alcuni ho il piacere di seguirli o di poter collaborare con loro all'occorrenza. Altri spero di incontrarli nel mio percorso. In ogni caso sono troppi per ridurli a tre.

Non posso fare a meno di pensare alla Saatchi Gallery, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e al Museum of Modern Art di New York. Ma sono risposte scontate. La verità è che qualunque spazio è interessante per un curatore e quando il budget e l'organizzazione consentono libertà di movimento e autonomia nelle decisioni, ogni spazio può diventare la sede perfetta per un determinato tipo di progetto. Si tratta di combinare possibilità, preparazione, elasticità e immaginazione.

Spero di non dovermi mai trovare nella necessità di dedicarmi a un'arte di gusto popolare e dalle esplicite finalità commerciali, mascherandola da nuova corrente e coprendola di disoneste giustificazioni critiche. Sarebbe non professionale e svilente, per me e per l'arte contemporanea tutta. So che alcuni lo fanno con quello che qualcuno potrebbe definire "successo" e persino con orgoglio, non so quanto realmente sentito. Per me sarebbe il più completo fallimento, a prescindere dalla sede.

Amo l'arte contemporanea. Dà senso alla mia vita e descrive il mondo che mi circonda. Sono affascinata anche dal passato, ma non molto dal passato recente. Quindi, non sono una grande amante dell'arte moderna. 

Ormai non riesco a scindere internet da niente. Non riesco a immaginare come potrebbe essere il mio lavoro senza poter usare il web per informarmi ogni giorno su quello che accade, parlare con le persone con cui sto organizzando progetti, ricevere e mandare materiale e creare contatti. Il 90% delle cose che scopro, lo scopro così. E quasi tutto quello che faccio prevede un computer e una connessione.

Il vero progetto, la cosa più importante è la propria crescita in quanto persone. Voglio migliorare la mia percezione del mondo e la mia lucidità sulle situazioni. Nell'abbandonare le proprie paure e nell'acquisire consapevolezza delle nostre forze sta il successo della nostra vita. Quello che poi si ottiene all'esterno è solo un riflesso. Non voglio essere il direttore del MoMA di New York e vivere una vita frammentata. Il mio progetto è avere una vita integra e lavorare duramente per diventare il direttore del MoMa di New York. Nell'essere una persona sana che lavora per realizzare i suoi desideri, realizzerò già il mio progetto di vita, a prescindere da quali trofei pratici potrò mostrare all'esterno.

Mi piacerebbe trovare il modo di inserire nel mio progetto di vita anche la mia realizzazione in quanto donna. Avere una casa e una famiglia che bilanci ed equilibri la mia grande passione per l'arte contemporanea. Trovare persone accanto a me, un compagno e veri amici, che condividano, apprezzino e stimino il mio lavoro come curatore e si prendano cura di me come persona.

Premiare la qualità, sempre e comunque. Anche se è più dispendiosa, anche se ha pretese più alte, e anche se sembra che si possa fare altrimenti. Sempre affidarsi a professionisti seri e sempre sviluppare qualsiasi progetto, anche quello più semplice, al meglio delle proprie possibilità. 

Sono meno stronza di quello che sembro.

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